Agricoltura, quantità o qualità? Quale alimentazione nel prossimo futuro?
L’agricoltura oggi guarda al mercato per definire gli standard produttivi o siamo in un momento in cui il prodotto crea il suo mercato così come vogliono farci credere?
La richiesta di prodotti tipici dei rispettivi territori di produzione è un trend positivo soprattutto per il territorio italiano, la riscoperta dei sapori di un tempo, parte integrante della cultura italiana patria della rinomata “dieta mediterranea” sta mettendo in crisi l’economia globalizzata che impone ritmi e sapori uguali a livello internazionale.
Luciano Iacoponi durante il XXXI Convegno SIDEA del 1996 fornisce una definizione di sviluppo rurale che evidenzia le potenzialità dello sviluppo endogeno:
“se il tradizionale concetto di sviluppo rurale, vedeva nell’adesione del mondo rurale al mercato la condizione necessaria e sufficiente per la sua crescita economica, anche a costo di rompere l’equilibrio e la stabilità (considerati caratteri arretrati e da eliminare), il moderno sviluppo rurale concilia l’adesione al mercato con le regole a tutela dell’equilibrio e stabilità del mondo rurale, cioè unisce il binomio competizione e cambiamento al binomio equilibrio e stabilità.
A questo punto, il moderno sviluppo rurale si può definire un processo di cambiamento conservativo, che migliora la qualità della vita rurale (e della società a cui essa appartiene) con azioni sostenibili, endogene e locali di animazione, riproduzione, integrazione e crescita dell’economia del territorio rurale, progettate, intraprese e controllate da una comunità locale in una logica di attivazione o di auto sviluppo (o di non dipendenza) e al tempo stesso di interdipendenza tra sviluppo locale e sviluppo globale, in un sistema mondiale multidimensionale”.
In un sistema globalizzato che si va differenziando, dunque, il riconoscere le potenzialità del locale sembra diventare una necessità.
A distanza di anni è ancora aperto il dibattito per introdurre in pieno campo delle piante transgeniche, OGM, facendole convivere con quelle tradizionali o biologiche, due sono gli schieramenti: le multinazionali che evidenziano i positivi aspetti quantitativi e una rinnovata classe agricola che punta alla qualità e ai prodotti tipici dei singoli territori.
La battaglia sembra essere proprio tra quantità e qualità ed anche se si propaganda una possibile coesistenza già dal 2002 un dossier della britannica Soil Association, tradotto in italiano da Giorgio Celli con il titolo I semi del dubbio, in modo razionale anche grazie alle interviste con agricoltori statunitensi e canadesi che coltivavano sia biologicamente sia piante OGM, descriveva le conseguenze di una reciproca coesistenza che si dimostrava essere impossibile.
I primi OGM sono state varietà di colza, di soia, di mais, promosse come resistenti agli erbicidi, ottenute in laboratorio e coltivate in campo su notevoli estensioni in diversi paesi, Stati Uniti, Canada, Argentina e Cina. Il problema non è stato l’utilizzo in se per se degli OGM ma un’estesa contaminazione degli altri con i quali coesistevano in campo aperto causando la perdita di grandi produzioni di prodotti BIO ed OGM-free
Ma l’aspetto più tragico della contaminazione delle colture biologiche sono i numerosi paradossi legali:
gli agricoltori non-OGM, la cui coltura è stata contaminata da OGM sono stati accusati di aver infranto i diritti di brevetto delle multinazionali e gli agricoltori stessi si sono rivolti alla legge per essere risarciti dalle multinazionali per l’introito e il mercato persi a seguito della contaminazione.
In Europa dal 1998 ancora non è chiara la volontà comunitaria, anche se è assodato che la contaminazione è reale e difficile da evitare, si susseguono movimenti a favore e contro gli OGM Stato per Stato e nel frattempo le “sementi ibride” prodotte e commercializzate dalle multinazionali hanno già creato una dipendenza del comparto agricolo.
Se ne conclude che il principio di coesistenza è fasullo e che l’introduzione in Italia in campo aperto degli OGM decreterebbe la fine dell’agricoltura biologica. Speriamo che questa patata bollente che l’UE ha passato all’Italia e che poi è finita alle singole regioni non cambi per sempre il nostro territorio, anche se è recente la notizia che la “Petizione pro mais transgenico Mon 810” viene firmata da oltre 600 imprenditori agricoli del mantovano.
All’interno della più ampia tematica legata al concetto di “sostenibilità ambientale” bisognerebbe vedere l’agricoltura biologica come la punta più avanzata dell’agricoltura sostenibile. È sostenibile nel senso che assicura la conservazione della fertilità del suolo, che non inquina l’ambiente con abusi chimici e tecnologici, che produce secondo il ritmo delle stagioni, che conserva e semmai accresce la biodiversità, che promuove la sicurezza alimentare.
In più, l’agricoltura biologica si presenta come l’attività di un uomo aperto al mondo, eticamente coinvolto, e padrone del proprio lavoro, l’imprenditore agro-alimentare.
Concludiamo con un immagine forte di un illustratore degli Stati Uniti David Dees che vuole riassumere il terrore che caratterizza il pensiero di chi con gli OGM ci convive già da tempo.
Proprio negli USA si sta assistendo ad una rapida crescita di domanda riguardante prodotti biologici, in particolare frutta, verdura e latticini, proprio in quella nazione che si può definire la patria del geneticamente modificato.
La domanda negli U.S.A. di prodotti biologici aumenterà del 14% entro il 2018, secondo la TechSci Research nel rapporto “United State Organic Food Market Forecast & Opportunities 2018”, attualmente l’Europa detiene la leadership mondiale per la produzione biologica e l’Italia ne è capofila.
C’è qualche cosa in questo mondo globalizzato, più che il territorio in cui viviamo, le coltivazioni tipiche e le tradizioni che ne derivano, che ci differenzia gli uni dagli altri?
Ritenete che le etichette siano chiare riguardo alla presenza di OGM nella nostra dieta, soprattutto in riferimento a prodotti di origine animale allevati ad OGM e loro derivati?
Conviene introdurre gli OGM in Italia?
La questione sembra abbastanza chiara anche se spesso buon senso e politiche nazionali prendono strade diverse.
Queste tematiche sono sempre sembrate lontane dalla nostra realtà italiana, ma adesso sembra necessario prendere una scelta…tu cosa scegli?
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Scelgo di stare con il mio cervello. E’ il solito articoluccio sugli OGM che non dice nulla di nuovo e che sta dalla parte di quelli che sanno poco della questione, ma visto che conta più il cuore della cultura decidono di sparare merda.
“bisognerebbe vedere l’agricoltura biologica come la punta più avanzata dell’agricoltura sostenibile” non ci siete ragazzi, se con avanzata parlate di tecnologia, e mi sembra che in questo blog si parli anche di tecnologia, allora l’agricoltura biologica è indietro parecchio, perché tutta la ricerca italiana e in gran parte europea in ambito agrario sta innovando con l’obbiettivo di ridurre l’impatto ambientale nelle aziende convenzionali, con risultati che, secondo il parere di uno che ci sta lavorando dentro, sono ben più significativi di quanto un comparto come quello dell’agricoltura biologica, con tutta la stima per quello che sono riusciti a fare in questi anni, non otterrà mai. E mi spiace farvelo notare, ma le biotecnologie fanno parte di quell’innovazione, perché una semente geneticamente modificata per resistere ad attacchi parassitari di funghi, insetti, nematodi e quant’altro evita al contadino trattamenti con agenti chimici, e visto che i contadini che praticano agricoltura convenzionale trattando il campo con agenti chimici sono 100 volte tanto i contadini biologici il risultato avrà per forza un peso diverso.
Se poi il problema è la Monsanto e i brevetti sulle sementi siamo totalmente d’accordo, ma allora chiariamo che stiamo parlando di un problema legislativo e non ambientale ne sanitario, perché correlazione tra consumo di OGM e tumori non è ancora stata dimostrata, a dispetto della foto che avete deciso di mostrare.
Ciao Efrem, riguardo al tecnologico è scontato che la biotecnologia sia avanzata rispetto al biologico o alla comune agricoltura senza se e senza ma, che con l’utilizzo di “pesticidi” ignorano il danno che arrecano all’ambiente. Non era obiettivo del post promuovere l’una o l’altra cosa, diciamo che andrebbero valutate opportunità e minacce per il territorio italiano più che una fredda considerazione “è meglio o e peggio”. Rileggendo quanto scritto ti inviterei a tenere presente il concetto di “processo di cambiamento conservativo” di cui parla Iacoponi nel 1996, la tecnologia non è per forza “fantascienza” ma anche un diverso utilizzo migliorativo di una stesso strumento è innovazione. Riguardo all’immagine conclusiva aggiungo poi, che di correlazione tra OGM e tumori non è fatta menzione a parte che nel tuo commento, è stata discussa la pubblicazione di quella illustrazione (un po macabra) e alla fine si è pubblicata solo come supporto al rendere palese ed evidente l’idea di chi con gli OGM ci convive già da tempo come introduzione ai trend positivi del mercato biologico internazionale. Innovazione intesa quindi anche come capacità di avere una visione strategica di posizionamento di mercato del prodotto Italia…poi tutto ciò che è “tecnologico” può essere prodotto in qualsiasi parte del mondo a costi inferiori che da noi 😉