Periurbano, quando non è più città ma non è ancora rurale
Ci riallacciamo al precedente post su cosa sia rurale (ruralechi) per continuare nella definizione dei territori in un ottica meno economica e più sociale.
Quei territori posti a ridosso dell’agglomerazione densa e del continuum urbanizzato prendono il nome di “fasce periurbane”, ovvero, quelle fasce di territorio dove la città e la campagna vengono a contatto diretto e che si trovano oggi ad ospitare la maggior parte della crescita urbana, secondo modalità spesso frenetiche.
Le periferie crescono in modo spesso anarchico, sia in termini urbanistico-paesaggistici che di razionalità trasportistica e le città, già congestionate e sature, si vedono contornare da cinture urbanizzate sempre più larghe che allontanano sempre più gli spazi verdi, o comunque non urbanizzati, dal centro.
Aumento dei redditi personali, desiderio di spazi aperti, disponibilità personale di automobile, prezzi eccessivamente elevati degli immobili nel centro urbano e la localizzazione periferica dei comparti industriali, sono tra le cause principali di questo modello insediativo definito da Roberto Camagni periurbanizzazione.
In questo quadro, le aree rurali periurbane si trovano ad essere il contesto più fragile, in quanto, anche nei casi migliori, la produttività di un loro sfruttamento agricolo risulta sempre inferiore alla loro valorizzazione in caso di urbanizzazione o industrializzazione. La loro dimensione viene sempre più misurata in metri quadri piuttosto che in ettari, ad indicare una subordinazione alle aspettative di modificazione della destinazione d’uso, quando invece il ruolo che queste aree svolgono, e che potrebbero svolgere in modo ancora più efficace, è un ruolo di equilibrio dell’eco-sistema complessivo, come la produzione di valori ambientali a vantaggio dell’intera popolazione metropolitana. La società intera deve riconoscere a queste aree un valore che va al di là della capitalizzazione di un potenziale reddito agricolo, in quanto queste aree sono produttrici di esternalità e di beni pubblici concreti per la collettività urbana. Ciò nonostante, la campagna continua ad arretrare inesorabilmente di fronte all’espansione inarrestabile della città, per quattro cause principali:
• Il livello e l’andamento dei prezzi relativi dei rispettivi prodotti, agro-alimentari e urbanistico-industriali, tende a favorire i secondi, per la forma di mercato tendenzialmente concorrenziale delle produzioni agricole in opposizione all’organizzazione tendenzialmente oligopolistica dei mercati dei prodotti industriali;
• La diversa valorizzazione di mercato dei rispettivi patrimoni fondiari;
• L’erosione dei suoli agricoli operata dall’espansione edilizia della città;
• L’imposizione di esternalità ambientali negative da parte della città, quali impianti industriali;
Sembrano riflessioni moderne quando invece già nel 1994 Camagni cercava di vincere la concorrenza cittadina intendendo per campagna l’ambiente non urbanizzato, un insieme di risorse scarse, non necessariamente o interamente naturali ma comunque non riproducibili date da aria, acqua, terre di diversa fertilità, zone di facile utilizzazione ecologica e non esclusivamente economica, territori da considerare quale insieme di esternalità positive e potenzialmente portatrici di beneficio sociale.
Adesso sembra che questa accezione di intendere la campagna, forte della crisi del modello industriale dell’economia capitalista, stia attecchendo nelle menti delle persone che in un’ottica di downshifting iniziano a dare il giusto valore alle esternalità positive potenziali sempre più scarse.
Il problema è sempre stato che il proprietario del terreno agricolo, incentivato da un vasto differenziale economico, vende la proprietà per avvantaggiarsi del plusvalore che si crea con l’urbanizzazione o con l’industrializzazione. Sotto questo punto di vista le minacce della crisi economica, quali delocalizzazione degli stabilimenti produttivi fuori dal territorio italiano e attuale offerta di abitazioni residenziali superiore alla domanda, rappresentano invece un’opportunità per il rilancio dell’agricoltura e dell’utilizzo “sostenibile” di terreni e spazi verdi fuori e dentro le città.
Attraverso l’Atto Unico Europeo del 1986, la Comunità Europea sancì autorevolmente l’interesse primario per l’ambiente ed introdusse il ben noto principio di economia pubblica “chi inquina paga”, per evidenziare il valore del danno pubblico nel calcolo privato. Sul fronte dell’intervento pubblico a garanzia del rafforzamento delle esternalità positive, la Cee identificò una nuova figura professionale, quella dell’imprenditore agro-ambientale, col compito di svolgere una funzione che possiamo definire di “custode della natura”, “una funzione veramente utile per la società” e come tale autorizzato ad avere una serie di incentivi pubblici.
L’obiettivo della Cee in campo agricolo fu quello di contribuire a una riduzione della produzione, promuovendo il ricorso a pratiche estensive che implicano un maggiore utilizzo di terreni, e contemporaneamente scoraggiando la corsa a rese elevate, e dunque limitando l’uso di fertilizzanti e di pratiche altamente inquinanti, favorendo la qualità alla quantità. Già nel 1974 il Consiglio di Stato affermò: “il vincolo a verde agricolo non è preordinato tanto alla salvaguardia di esigenze di ordine agricolo, quanto in vista dell’utilizzazione del territorio oggetto del piano regolatore, in modo di proporzionare le aree edificabili con quelle inedificabili al fine delle migliori condizioni di abitabilità del territorio” , si capisce quindi che non è l’agricoltura, ma è la “campagna” a svolgere il nuovo ruolo ed a ricevere per questo il supporto pubblico.
Nel caso poi di frange urbane a già elevata densità, non è ottimale la consuetudinaria strategia di saturazione delle aree intercluse, in quanto le zone non edificate (dimesse o degradate) possono rappresentare, anziché smagliature del tessuto edilizio periurbano (e perciò da colmare), residui essenziali di verde cittadino, quasi un monumento alla natura (e perciò da svuotare) . Concetti affascinanti, ma non applicati in molte realtà urbanistiche che conservano ancora residui connotati di ruralità, mentre sempre più prende piede all’interno delle città densamente abitate la tendenza a creare piccoli orti nei giardini delle case o anche fuori ai balconi.
Gradevolezza dell’ambiente significa buona qualità del paesaggio: terreni non degradati ne monotoni, bensì coltivati o comunque ricchi di elementi apprezzabili dal punto di vista estetico e interessanti dal punto di vista botanico. La stessa permanenza dei caratteri culturali originali, appare fonte primaria di gradevolezza, poiché può contare sul potere rasserenante di immagini che possiedono una forte carica di memorie personali e familiari della comunità residente. L’integrità del paesaggio poi, mai come in questi anni, sta richiamando anche visitatori esterni che cercano un paesaggio naturale, di cui non hanno mai avuto esperienza diretta, relegati dalla nascita tra il cemento armato di una città. Questo nuovo viaggiatore incentiva così un’economia turistica che sta ridando forza alle rendite naturali del territorio, con la nascita di agriturismi e parchi naturali.
Quindi la sfida delle fasce periurbane è quella di salvaguardare l’ambiente e renderlo fruibile, consentendo la possibilità di camminare, correre in bicicletta, fare pic-nic, compiere “percorsi di vita”, raccogliere, sia pure con le dovute restrizioni i frutti della terra, ecc. Quindi fruibilità della campagna, implica:
• accessibilità dei terreni al pubblico sul piano giuridico;
• dotazione di strade e sentieri sul piano fisico;
• disponibilità di punti di ristoro;
• un sistema efficiente di informazioni sul piano organizzativo.
Forse solo così, testimoniando l’importanza che questi spazi hanno per le persone, si potrà vincere l’economia globalizzata, in nome della sostenibilità intergenerazionale.
Penso che in Italia abbiamo tutte le carte in regola per ottenere questa vittoria, vanno riviste le regole del gioco e incentivare gli investimenti pubblici che vanno in questa direzione. L’Europa sembra interessata a questa direzione di sviluppo soprattutto per il Sud Italia e in generale per le zone del Mediterraneo.
Tu cosa proponi, come possiamo incentivare questa inversione di tendenza già in atto?
“Grazie a RuralHub” non è accettata come risposta 😉
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L’assessorato al Governo del Territorio della Regione Campania nel 2008 ha redatto un testo dal titolo “Una campagna per il Futuro. La strategia per lo spazio rurale nel Piano Territoriale della Campania.” Nel testo c’è una interessante analisi e degli indirizzi programmatici. Diciamo che torna utile per capire come tutta questa situazione era e forse è ancora vista dall’istitutzione regionale. Potrebbe essere un punto per un bel confronto.
PS: se vi interessa vi posso dare il libro 🙂
cavolo e se ci interessa!
Penso la possibilita di questo sviluppo possa essere ulteriormente arricchito riprendendo le amtiche sentieristiche su cui trovano posto piccoli siti archeologici, resti di medioevali fortificazioni e architetture rurali di notevole bellezza.
Sottoscriviamo tutto e aggiungiamo: benissimo (ovviamente) salvaguardare l’ambiente, ma allo stesso tempo il periurbano ha bisogno di luoghi dove vivere la contemporaneità e far sì che non diventi un luna park per il weekend o per chi non deve lavorare. Il periurbano può diventare un laboratorio per la nuova città. Noi stiamo scommettendo su quest’idea con un progetto di #coworking nel #mugello… ruralhubbisti: forse ci vediamo al Worldcamp 2014! http://www.changefood.it
si, ci sarà uno dei “nostri”, forse anche due 😉
che bella cosa! Sono sempre più convinto che dalla sinergia di Campania e Toscana, che a livello territoriale sono sono molto simili, a breve usciranno fuori cose bellissime!