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La Silicon Valley investe sul food

The Wall Street Journal ha appena dichiarato, e in prima pagina, che i grandi venture capitalist americani, pur investendo ancora nelle start up tecnologiche, si sono decisamente dati all’agricoltura e nello scorso anno la presenza del venture capital nell’agricoltura e nell’industria alimentare è aumentata del 54% per un ammontare di 486 milioni di dollari (cfr. Ilan Brat e Jacob Bunge, Silicon Valley Firms Plant Roots in Farm Belt, 6 aprile 2015). In verità, come spiega già da qualche anno Raffaele Mauro, grande esperto di venture capital, tecnologia e geopolitica, è già dal 2012 che assistiamo a una “crescente ondata di investimenti in imprese innovative legate all’industria alimentare” da parte di venture capitalist solleticati dalla rivoluzione in atto nella produzione, distribuzione e consumo del cibo e dalle enormi “possibilità di strutturare acquisizioni, accordi commerciali e di partnership tra grandi attori del settore e startup” (cfr. The State of Foodtech, giugno 2014).

Questo perché “l’agricoltura e la produzione del cibo stanno diventando sempre di più un affare di alta tecnologia. […] Le start up in campo agricolo, in America, sono una realtà sempre più notevole, molte innovazioni su cosa mangeremo e su come produrremo quello che mangiamo nei prossimi decenni sono in corso di realizzazione, ed esattamente come è successo per i futuri giganti di internet negli anni Novanta, i venture capitalist americani stanno pompando milioni di dollari nelle nuove tecnologie agricole sperando di trovare la prossima “big thing” che cambierà il modo in cui coltiviamo e consumiamo il cibo” (cfr. “Così la Silicon Valley lancia la sua opa sull’agricoltura”, Il Foglio, 7 aprile 2015).

Gran parte dell’informazione è sollecitata soprattutto dalle notizie riguardanti la ricerca di sostituti del cibo tradizionale, come l’hamburger di carne sintetica da staminali di mucca, realizzato nel 2013 grazie ai soldi di Sergey Brin, co-fondatore di Google, oppure il Soylent, una bevanda che fornisce le vitamine e i nutrienti sufficienti a “non preoccuparsi più di cosa mangiare,” come recita il sito. E lo stesso Bill Gates ha finanziato progetti come Hampton Creek, Impossible Foods, Beyond Meat, esperimenti di ingegneria alimentare che dichiarano di voler risolvere la fame nel mondo e nel contempo ridurre l’impatto dell’allevamento intensivo sull’ambiente, rivelando altresì la ὕβϱις dei nuovi “padroni dell’Universo” (una eloquente definizione di Federico Rampini, in Rete Padrona)

Eppure, la maggior parte degli investimenti riguarda i progetti relativi all’utilizzo di dati per la gestione “di precisione” delle attività agricole (come AGERpoint, per esempio) o all’automatizzazione spinta delle produzioni (si veda il caso di Spark Capital, investitore storico di Tumblr, che a dicembre ha investito quasi 4 milioni di dollari su Freight Farms, una fabbrica a più piani che produce lattuga in modo automatizzato), nonché applicazioni su tracciabilità e sicurezza degli alimenti. E, ovviamente, quelle startup che promettono di rivoluzionare distribuzione ed esperienza di acquisto o di consumo (come JustEat o FoodPanda, per fare dei nomi) attraverso app, e-commerce innovativi e nuove piattaforme editoriali.

Come spiega chiaramente Raffaele Mauro nel suo contributo, raccolto in occasione della Summer School 2014, e confluito nel Manifesto della Rural Social Innovation, è chiaro che per “reinventare e proiettare verso il futuro settori tradizionali dell’economia, come l’agricoltura”, e più in generale l’intero food system, non basta l’osmosi con “i nuovi brand di innovazione tecnologica”, ma è necessario “qualcosa del passato che va recuperato”, in una prospettiva di retroinnovazione che coniughi tecnologie e scienze della vita.


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