Neil Palmer CIAT NP Forage Seeds In Gene Bank

Curious Rituals Rurali IV – Miglioramento Genetico Partecipativo. Semi antichi e nuovi metodi produttivi

Come cambia la ruralità nel mondo contemporaneo? Quali “strani presenti” e rituali curiosi” la caratterizzano? Come confrontarsi con essi e usarli per immaginare insieme i “futuri possibili” e quelli desiderati? In vista di Iperconnessioni Rurali, Nefula, primo studio e lab di ricerca e progettazione italiano di Near Future Design, inaugura una miniserie su RuralHub dedicata ad esplorare i “curious rituals” della ruralità contemporanea.
Cinque articoli creati da 5 giovani near future designer che hanno dato vita a Nefula insieme a Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, e che parteciperanno al workshop con la loro particolare attenzione ai semi di futuro nascosti nel presente. Sono Marta Cecconi, Mirko Balducci, Rudy Faletra, Tommaso Tregnaghi e Giacomo Equizi.
Marta Cecconi ci ha accompagnato nelle Comunità Provvisorie della neoruralità, Mirko Balducci ci ha raccontato l’esperienza di Tierra Buena tra Bitcoin e ruralitàRudy Faletra il diverso e controverso impiego dei Big Data in Agricoltura. Per la rubrica Curious Rituals Rurali, ecco la riflessione di Tommaso Tregnaghi sulla riscoperta dei semi antichi e sul caso iraniano.

A partire dagli anni 60/70, la Comunità Europea ha introdotto una serie di leggi per regolamentare distribuzione e vendita delle sementi.[1] In particolar modo per quelle relative alla coltivazione da parte dei professionisti del settore. Tutto questo con un duplice obiettivo: da un lato, aumentare la produttività delle colture attraverso un sistema legale garantito di distribuzione ad alta resa (per le sementi registrate) e, dall’altro, tutelare l’acquirente da eventuali frodi.

Questo ha generato nel tempo l’affermarsi di un sistema basato, nella quasi totalità, sull’utilizzo di sementi standardizzate, studiate per ottenere un’ottima resa, se coltivate nel modo e nelle condizioni per le quali sono state create.

Ma qual era l’approccio prima dell’avvento delle biotecnologie al cambiare delle stagioni e delle colture? E che n’è stato della famosa rotazione triennale che ho imparato alle elementari? Tutti saperi oramai superati?

In questi anni si sta delineando una prospettiva sempre più concreta: la possibilità di utilizzare per i raccolti i cosiddetti semi antichi. I semi antichi sono quelle sementi che non hanno subito le mutazioni apportate dalle sperimentazioni in ambito biotecnologico e che conservano ancora intatto il genoma delle piante nella sua forma originaria.

La prima raccolta strutturata di questi semi si deve a Nicolay Ivanovich Vavilov che nel 1916 organizzò la prima spedizione in Iran, con lo scopo di recuperare i semi di diverse specie di piante. Alla fine degli anni ’30, il genetista russo aveva raccolto ben 250.000 specie di semi diversi da tutto il mondo.

Sulla scia di Vavilov molti altri si sono mossi nella medesima direzione, cominciando a raccogliere e conservare, nel migliore dei modi, i semi di quante più varietà di piante possibili al mondo, in modo da poterle re-impiantare in caso di disastro naturale o perdita della biodiversità.

A tutt’oggi la Fondazione VIR, nata dal lavoro di Vavilov, è al quarto posto nel mondo e conserva 350.000 semi differenti nella sede di San Pietroburgo.

La prima a livello mondiale è invece la Svalbard Global Seed Vault, un parallelo di Fort Knox in ambito agricolo[2]. Localizzata vicino alla cittadina di Longyearbyen (su un’isola dell’arcipelago norvegese di Svalbard) la struttura è costruita all’interno di una montagna di roccia arenaria. Realizzata in calcestruzzo, è composta da tre sale di 27 metri di lunghezza, 10 di larghezza e 6 di altezza con porte in acciaio e in grado di resistere a una guerra nucleare come a un incidente aereo.

Svalbard Global Seed Vault - ingresso

Svalbard Global Seed Vault – ingresso

 

La funzione primaria della struttura è di garantire la conservazione del patrimonio genetico tradizionale. Garantisce, cioè, l’affidamento fiduciario delle 21 colture più importanti della terra (riso, mais, frumento, patate, mele, manioca ecc) funzionando come una cassetta di sicurezza bancaria. L’Istituto è proprietario della struttura mentre le banche lo sono dei geni delle sementi depositate.

Se, quindi, da un lato questa è una soluzione preventiva in caso di eventi drastici, in grado di sopperire a perdite di gravissima entità per il mondo intero, esistono metodi differenti per garantire la preservazione dei semi, la loro proliferazione e, perché no, la loro naturale evoluzione in nuove specie.

Un caso esemplare è rappresentato dall’approccio elaborato dal prof. Salvatore Ceccarelli che, avviato sperimentalmente in Syria nel 1995, si è diffuso in altri paesi del nord Africa (Tunisia, Marocco, Algeria ed Egitto), in Medio Oriente (Yemen, Giordania e Iran) e in Centro Africa (Eritrea ed Etiopia). Il metodo del prof. Ceccarelli prende il nome di miglioramento genetico partecipativo (PPB) e prevede l’interazione di “almeno due personaggi, da una parte il ricercatore e dall’altra l’agricoltore o i gruppi di agricoltori, consumatori ecc”[3].

In occasione di ogni raccolto, lavorando in parallelo, le due figure selezionano le migliori piante, quelle che, ad esempio, si adattano meglio all’ambiente o che rispondono ad altri bisogni dell’agricoltore. I semi così ottenuti vengono quindi utilizzati per un piccolo raccolto parallelo che avrà come unico scopo quello di affinare maggiormente la selezione. Le piante di questo tipo di raccolto, diverse le une dalle altre dal punto di vista genetico, sono più resistenti all’attacco di insetti o parassiti, i quali, non trovando un ambiente omogeneo, hanno minori possibilità di intaccare il raccolto come succede invece con le sementi standardizzate in commercio, tutte identiche fra loro.

 

SEEDversity – Salvatore Ceccarelli e il PPB from formicablu on Vimeo.

Oggi, il 75% del mercato mondiale del seme (un mercato da miliardi di dollari) è in mano a 10 multinazionali: Monsanto, DuPont, Syngenta e Bayer sono le maggiori.[4] L’acquisto delle sementi è quindi subordinato alla messa in commercio di particolari selezioni effettuate dai colossi del settore.

L’approccio della PPB rovescia il rapporto fra iscrizione a registro delle sementi e accettazione da parte degli agricoltori. È sì possibile registrare particolari e nuove varietà di semi, ma solamente dopo aver appurato che gli agricoltori gradiscono quella determinata varietà. Si rovesciano così i termini di scambio, di domanda e offerta.[5]

Tutto ciò è possibile grazie al fatto che le sementi custodite negli archivi, le cosiddette varietà antiche, non ricadono sotto le leggi di tutela europee per la produzione e la distribuzione, ma sono considerate un patrimonio pubblico, libero e accessibile. Da qui il prof. Ceccarelli è partito per ricercare e selezionare nuove piante e nuove specie in grado di soddisfare le esigenze di agronomi e coltivatori.

Queste sementi sono molto importanti anche per tutta un’altra serie di valori, maggiormente legati alle comunità che ne usufruiranno[6]:

  • le varietà tradizionali hanno colori, sapori e odori che sono più graditi alle comunità locali rispetto a varietà di importazione;
  • è possibile ottenere prodotti diversi da una stessa pianta: la farina dalla molitura dei chicchi, il mangime dalla paglia e dagli scarti, prodotti fermentati, etc;
  • infine, la libertà: perché i contadini producono da soli i semi, come fanno da sempre, tornando a essere padroni della propria sicurezza alimentare.

In Italia e non solo, diverse associazioni si sono mosse per promuovere la tutela e la diffusione dei semi antichi. L’associazione Rete Semi Rurali è in particolar modo attiva nel recupero delle varietà tradizionali di mais e grano antico attraverso diverse azioni e manifestazioni come la Cultivate Diversity che si svolge a Peccioli, nella campagna pisana.

Differenti varietà di mais

Differenti varietà di mais

 

Agricoltura collaborativa e semi antichi in Iran

Un altro caso esemplare di cambiamento del paradigma esistente, capace di attuare pratiche collaborative in grado di apportare un reale cambiamento alla situazione è quello iraniano.

Se alcuni anni fa i cittadini iraniani erano costretti ad acquistare in maniera esclusiva semi e fertilizzanti direttamente dal governo, data la potenza economica del Paese e il loro assoggettamento a essa, oggi hanno una strada secondaria da poter scegliere,[7] aperta dall’ embargo economico.

Consci del fatto che i fertilizzanti stavano impoverendo la terra, rendendoli schiavi di un sistema cortocircuitante, gli Iraniani hanno iniziato a recuperare e a scambiarsi semi antichi per produrre nuove varietà di raccolti e rendersi autonomi dal mercato internazionale e dai vincoli posti dall’embargo, proprio come si faceva 10000 anni fa nella Mezzaluna Fertile.

A partire da questi cambiamenti, la ONG Cenesta ha dichiarato di voler creare uno sviluppo sostenibile e una buona gestione delle risorse naturali nel territorio iraniano. Il lavoro più importante, però, come sottolinea la direttrice esecutiva Khadija Catherine Razavi, è “recuperare la nostra identità perduta dopo la riforma agraria. Prima della riforma il sistema di gestione delle risorse era buono.”[8]

Dopo l’embargo, i contadini di alcune zone dell’Iran non potevano utilizzare varietà di orzo e farro di altre regioni e i semi che ricevevano, non più fertili già dopo un anno o due, dovevano essere buttati via. Avevano inoltre perso la maggior parte delle varietà locali, potendone coltivare soltanto alcune, come afferma Maede Salimi, coordinatrice Cenesta delle attività di PPB ed EPB.

Le stazioni sperimentali di ricerca non possono dare agli agricoltori buone varietà da utilizzare, perché in Iran è presente una realtà climatica troppo diversificata e le varietà prodotte non sono adatte a tutti i luoghi.

È così che Cenesta ha iniziato a collaborare con gli agricoltori della zona del Garmsar come Ahmad Taheri: “abbiamo iniziato a lavorare con un gruppo di 3 persone e l’ONG Cenesta che ci ha dato una mano. Ho viaggiato in Africa confrontandomi con altri piccoli produttori e mi sono reso conto che la lotta contro l’agricoltura industriale non era meno importante di quella per la fertilità della terra.”[9]

Le sperimentazioni effettuate prevedono la semina di molte varietà di piante per selezionare (secondo i metodi della PPB ed EPB) le migliori: ad esempio, quelle che meglio si adattano alle alte temperature o ai terreni salini, alcune più adatte all’ovest del paese, come il Kermanshah, altre al sud.

Le popolazioni miste di grani diversi sono in grado di soddisfare, poi, interessi differenti. C’è chi preferisce una miscela di grani ampia per avere più paglia per nutrire gli animali e chi preferisce quello a maggior produttività, o quello migliore per fare un buon pane, oppure quello resistente a un particolare parassita della zona.

Questo nuovo scenario, questo movimento di piccoli agricoltori che collaborano per l’indipendenza dall’ingerenza delle multinazionali è estremamente importante. Stando infatti al Rapporto FAO, The state of food and agriculture 2014, il 90% delle piccole unità produttive di dimensione familiare produce l’80% del cibo del mondo.

Può essere la soluzione del futuro, sostiene la direttrice Khadija Catherine Razavi: “anno dopo anno abbiamo sempre maggiori impatti da cambiamenti climatici, siccità, scarsità d’acqua. Il sistema sementiero spinge alla monocoltura e questa è la fine della biodiversità e delle risorse genetiche. La sovranità alimentare è per me più importante della sicurezza alimentare stessa.

È importante per capire che un lavoro mirato può essere la molla per fare la differenza, per riuscire a sviluppare un’agricoltura forte, resistente e resiliente capace di soddisfare i bisogni degli agricoltori meglio di quanto possano farlo sementi standard uguali per tutti. E questo perché le varietà locali sono formate sul territorio, e dal esso adattate per rispondere al meglio alle proprie caratteristiche.

Il caso dell’Iran e della collaborazione fra ONG e agricoltori è un esempio chiaro di come si possano aprire strade inaspettate da dinamiche semplici, se vogliamo, legate a un passato che sembra lontano ma che probabilmente non lo è. Un buon esempio di collaborazione e movimento verso nuove possibilità passando attraverso la semplicità del rapporto fra terra e agricoltore.

 

[3] Cfr. intervista a Salvatore Ceccarelli: http://seedversity.org/#colline_Pisa
[4] Ciccarelli S., Chi decide cosa mangerai stasera per cena?, (Who Decides what You’re Going to Eat for Dinner this Evening? Biodiversity Participatory Plant Breeding Programs and Right to Food), in AGRICOLTURA ISTITUZIONI MERCATI, fasc. 3, 2009.
[5] Intervista a Salvatore Ceccarelli. http://seedversity.org/#colline_Pisa
[9] ibidem.
 
Link correlati:
SEEDVERSITY, il caso dell’Iran e la rete europea dello scambio dei semi antichi
CULTIVATE DIVERSITY, rete italiana (Pisa) per lo scambio semi e la promozione della
RETE SEMI RURALI
SVALBARD, banca mondiale per la tutela e la conservazione dei semi
LIBRETTO SLOWFOOD

 

Tommaso Tregnaghi è uno dei co-fondatori di Nefula, un laboratorio che opera secondo la metodologia del Near Future Design. Come designer della comunicazione e ricercatore è interessato al rapporto fra persone, società e gruppi sociali e a come questi interagiscono fra loro. È parte del team di Indelebile, uno studio che progetta infografiche e giochi interattivi per bambini a sostegno della didattica.

 

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