Il cammino silenzioso – terza tappa
Dopo l’appassionata riflessione di Dario Marino, concludiamo l’emozionante viaggio dentro l’esperienza de “Il cammino silenzioso” con il contributo di Ivan Di Palma (Asineria EquinOtim, Atena Lucana).
Ringraziamo ancora Ivan, Simone, Dario e Vincenzo per aver condiviso con noi la propria avventura a passo d’asino e il proprio impegno civile.
Una concisa e inevitabilmente noiosa premessa
Dobbiamo cercare con tutta la nostra intelligenza di non farci ingannare non tanto dalle parole, quanto dalle cose. […] È la realtà che ci inganna qui servono le distinzioni.
(Seneca, Lettere a Lucilio, V 49)
Il senso e la strategia delle ruspe del potere (fondazioni e paesologi vari), come di consueto “campionarie”, corrisponde all’assunto essenziale: l’autonomia e la libertà del meridione è una essenziale rivendicazione e capacità e pratica delle nuove generazioni; ma proprio perché tale l’autonomia implica, come orizzonte e ordine, l’intero sistema coloniale in quanto tale.
La capacità di “sapere razionale” su queste vicende va dunque dimostrata esplicitando il suo fondamento. Così valore e fondamento sono inseparabili, nel rapporto essenziale tra problema e orizzonte; lo sono in se stessi e si dimostrano tali nella evidente perdita di capacità di oggetto delle nuove “comunità provvisorie” (Franco Armino) che ne prescindono.
Le scienze sociali, la finta poesia dei saltimbanchi e le svariate fondazioni foraggiate dall’ENI, possono argomentare a seconda dei casi l’universalità della morte della “questione meridionale” con una probabilità che tende alla certezza, ma non la possono spiegare/fondare necessariamente.
C’è forse bisogno di un nuovo complesso di saperi itineranti che rendono possibili altri saperi e (attraverso mediazioni regolative) intellegibili intere nuove classi di condotta.
Non è certo questa la pretesa di un semplice “cammino silenzioso”, il cui obiettivo è banalmente quello di camminare i “luoghi sacri”, e mi sia concessa l’immagine e la forzatura, camminare le “persone”. Farle proprie e lasciarsi contaminare da esse.
Non è un caso, se si passano in rassegna le religioni, che i grandi maestri (San Francesco, Buddha, Lao-tse) abbiano messo il pellegrinaggio perpetuo al centro del loro messaggio, raccomandando ai loro discepoli letteralmente di seguire la via.
Per questo, ma non solo per questo, siamo orgogliosi di definirlo tale. Pellegrinaggio, come ci ricorda il compagno di cammino Simone Valitutto, dal latino peregrinus: per ager al di là del campo, straniero, aggiungerei forestiero.
Carmelo e la Lucania
Certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento.
Ma la cosa più vergognosa è perdere tempo per negligenza.
Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male,
la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. […]
dunque metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente.
Tra un rinvio e l’altro la vita se ne va.
Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro.
(Seneca, Lettere a Lucilio, I 1)
Nell’amara terra lucana, Carmelo, ventiduenne di Pergola (frazione di Marsiconuovo, famosa nella zona a cavallo tra Campania e Basilicata per il piccolo mulino a cilindri del signor Guerriero e il pozzo esplorativo Pergola 1 dell’ENI), durante una imprevista tappa del nostro cammino, ci spiegò cosa per lui era la “questione meridionale”. O meglio cosa significasse per lui questa espressione ormai consunta.
Lo fece con una sicurezza di chi sa perfettamente di cosa sta parlando al punto che ne rimasi commosso e sconcertato. Commosso per l’abilita con cui snocciolava aneddoti il cui più recente risaliva ad almeno due decenni prima della sua stessa nascita. Tesseva, spiegandoci cosa era per lui questa espressione, la storia delle persone attraverso la storia delle terre e di chi le aveva lavorate. E tutto ciò con la semplicità con cui un pastore sa riconoscere i confini dei terreni, i suoi proprietari vecchi e nuovi e tutte le servitù cui essi sono assoggettati. Chi almeno una volta in vita sua abbia parlato con un pastore sa quello che dico. I pastori sono da sempre il catasto itinerante delle nostre terre. Insomma, questo giovane lucano semplice ma arguto sapeva associare con brillante lucidità tutti gli episodi di sfruttamento e mezzadria di quel posto alla “Questione Meridionale”. Rimasi affascinato da ciò e ci rimuginai per buona parte del cammino e dei giorni successivi. Alla fine capii.
Viveva anche lui, quotidianamente, ma in modo diverso per forme e non per intensità del fenomeno, quelle ataviche dinamiche fatte di sfruttamento, colonialismo, depredazione e incondizionate rese.
Carmelo, per dirne una, lavora in un cava (di proprietà dello zio) che ha rifornito tutto il cemento e il materiale arido per la costruzione della postazione Pergola 1. E mentre ci raccontava ciò, poco dopo aver inveito contro l’affare petrolio, “l’albero di natale” esplorativo svettava sopra le nostre teste come un totem appunto. Tutto in Lucania è compenetrato dall’affare petrolio: dagli agriturismi che campano con i tecnici ENI ai contratti a tre mesi (quando si ha la giusta conoscenza). Tutto è intriso di questo nero. Siamo in pochi e nella rete ci siamo tutti.
La vita presente resta come indisponibile (anzi, tale indisponibilità sembra radicalizzarsi) ma è, in questa “economia”, come relativizzata.
Torniamo a Carmelo. Aveva accesso, dunque, alla memoria storica donata dai racconti degli anziani del paese, e lucidamente associava tutti quegli episodi all’espressione “questione meridionale” ma gli mancava del tutto la consapevolezza che anche lui, a suo modo, era un nuovo protagonista di quella questione.
In fondo, la Lucania e i suoi abitanti lo hanno da sempre re-inventato e raccontato questo popolo di ex pastori, ma quasi mai siamo stati ad ascoltare in che modo esso si racconti o provi a farlo. E, a pensarci bene, di pastori oggi ne sono rimasti pochi, ciò che resta è forse solo l’origine dialettale arcaica dell’appellativo stesso.
I pastori nella nostra “memoria orizzontale” erano considerati sempre “furastieri” quando non addirittura, per lo stile di vita che conducevano, “forestici” (dial., “coloro che stanno fuori”). Dormivano all’aperto in continuo contatto con gli armenti e le regole, le necessità inderogabili della natura. In continuo movimento e senza un luogo.
Ed è questa la traccia forse più interessante. Camminare per i luoghi simbolo del colonialismo meridionale, farlo mettendo insieme, come in un ricamo, i culti antichissimi di madonne per comprendere e, sopra ogni cosa, dare voce a chi oggi è senza luogo e senza presente.
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