La #FilieraSporca

La #FilieraSporca – cosa c’è dietro il cibo che mangi?

Sapete chi coltiva e raccoglie i prodotti che mangiate ogni giorno?!

Qui di seguito riportiamo la recensione sul rapporto di: #FilieraSporca, per capire meglio la filiera italiana, e non solo. Il rapporto è curato da Sara Farolfi. Supervisione di Fabio Ciconte. Collaborazione di Antonello Mangano e Lorenzo Misuraca. Le fotografie di Mineo sono di Sara Farolfi. Con il contributo di Open Society Foundations e di Lush Italia. Il sito web è curato da Antonello Mangano.

Bambini rumeni a raccogliere arance. Africani morti di freddo in baraccopoli e ghetti. In Sicilia e Calabria la raccolta avviene ormai da anni in condizioni di grave sfruttamento.

Le vittime sono – a diversi livelli – lavoratori migranti e braccianti italiani espulsi dal mercato del lavoro.

La campagna #FilieraSporca – promossa dalle associazioni: Terra! Onlus, daSud e terrelibere.org – ha ricostruito il percorso dei frutti dai campi agli scaffali dei supermercati. Le arance rosse dell’Etna esportate in tutto il mondo, il biondo calabrese mischiato col succo brasiliano che finisce nelle lattine delle multinazionali, le clementine di Sibari portate nei banconi di tutta Italia.

Il cuore della filiera è un ceto di intermediari che accumula ricchezza, organizza le raccolte usando i caporali, determina il prezzo. Impoverisce i piccoli produttori e acquista i loro terreni. Causa la povertà dei migranti e nega un’accoglienza dignitosa.

#FilieraSporca propone la responsabilità solidale di supermercati e multinazionali, che devono rispondere per quanto avviene anche nei livelli inferiori della filiera. E norme per l’etichettatura trasparente, attraverso l’elenco pubblico dei fornitori, perché informazioni chiare permettono ai consumatori di scegliere prodotti “slavery free”.

Un viaggio per indagare le cause del caporalato nell’anno che ha fatto registrare oltre dieci morti nei campi e centinaia di migliaia di braccianti, stranieri e italiani, sfruttati per la raccolta dell’ortofrutta. Lavoro schiavile che passa anche per l’utilizzo di migranti richiedenti asilo, quelli del Cara di Mineo.

L’urgenza di un secondo rapporto #FilieraSporca sullo sfruttamento del lavoro in agricoltura nasce dalla necessità di dover fare il punto su quanto è successo nel corso di un anno di Campagna di pressione, con oltre dieci morti alle spalle e centinaia e centinaia di braccianti, stranieri e non, sfruttati nei campi. Un rapporto che scava ancora più in profondità le opacità già rilevate lungo l’intera filiera. In maniera puntuale è stato scomposto il prezzo delle arance dimostrando l’assoluta non competitività della filiera, mostrando le falle di un settore in crisi che si nutre di sfruttamento e che, andando di questo passo, rischia di scomparire, lasciando marcire un settore, quello agrumicolo, che invece dovrebbe essere il fiore all’occhiello del made in Italy.

Un prodotto del sud, tipicamente del sud di questo paese, in perenne crisi e non in grado di rinnovarsi. Con la conseguenza, ci confermano gli esperti del settore, di un aumento vertiginoso di importazioni da Egitto, Marocco e Spagna, oltre che dal Brasile per il succo.

Buona parte del dibattito pubblico è tuttavia ancora concentrata sul caporalato (l’effetto), quasi mai sulla filiera (la causa).

FilieraSporca

#FilieraSporca: le arance dal campo allo scaffale

 

Ma se oggi, come per magia, i caporali non esistessero più, esisterebbe ancora lo sfruttamento del lavoro? I braccianti, stranieri e non, verrebbero ancora sfruttati?

La risposta è drammaticamente semplice: .

“Lo sanno tutti coloro che abitano nei nostri territori che la raccolta delle arance è fatta sempre più da personale estero con una paga inferiore al prezzo di tariffa creando concorrenza alla manodopera locale e inficiando la regolare concorrenza tra aziende” afferma nel rapporto Sammy Fisicaro, responsabile commerciale di Colleroni, e riconosce: “I problemi di illegalità spesso ci sono soprattutto quando la manodopera è intermediata da cooperative, quando ci è capitato di vedere situazioni non in regola noi lo abbiamo sempre denunciato”. Secondo la Flai Cgil, nei territori di Paternò e Siracusa, ci sono almeno 200 cooperative agricole senza terra, che forniscono manodopera soprattutto alle le aziende della commercializzazione.

Allo stesso tempo però chiediamo al Governo e al Parlamento di intervenire con misure preventive che modifichino e rendano trasparente la filiera agroalimentare, riducendo al minimo la possibilità che possa verificarsi qualsiasi fenomeno di sfruttamento. Ridurre le opacità è quindi necessario perché è proprio nelle opacità che si annida lo sfruttamento, in quelle zone grigie che nessuno riesce a tracciare. Pensare invece a una filiera trasparente, limpida, dove tutti i passaggi siano fatti alla luce del sole, aumenta la responsabilità delle aziende e dei fornitori lungo tutta la filiera e nei confronti dei consumatori, rendendo così antieconomico lo sfruttamento perché più facilmente rintracciabile, dagli organi preposti e dai cittadini. Perché è proprio grazie ai cittadini, ai consumatori, che può avviarsi un “controllo socialelungo la filiera.

Consigliamo di scaricare e di leggere questo interessantissimo rapporto  per capire che quello che è un modo di produzione viene presentato come un’emergenza umanitaria e che dietro l’apparenza di miseria si nasconde una ricchezza mal distribuita.

Scarica qui il rapporto #FilieraSporca16 http://www.filierasporca.org/2016/

Cosa ne pensi? Conoscevi questa realtà, interna alle nostre campagne?

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